SIENA
Valerio Gentili, classe 1920, ex ufficiale di artiglieria, uomo di fiducia in una fattoria e poi impresario di successo. E’ un senese di adozione, originario della Valdinievole, accademico benemerito dell'Accademia dei Rozzi, molto legato a Siena e alle tradizioni cittadine. Con la sua azienda Icemi srl ha portato la linea telefonica in tutto il centro sud, in particolare in Sicilia a partire dagli anni ’60. Una vita dedicata al lavoro, agli affetti e alla ferita della guerra che nemmeno un secolo di storia è riuscita a rimarginare: “I ricordi – afferma il signor Gentili al Corriere di Siena - sono tantissimi, sicuramente troppi. In questo 2025 entro nei 105 anni e la strada della memoria si è fatta lunga. Poi, talvolta, è difficile per me analizzare la quotidianità perché mi trovo ad esprimere concetti, su aspetti della vita o di determinate situazioni, che possono sembrare affermazioni di un fascista, ma io fascista non lo sono. Ho fatto la guerra e l’ho patita. I miei due più cari amici dell’infanzia sono morti entrambi nel secondo conflitto mondiale. Mariottino abbattuto sui cieli di Milano, l’altro era ufficiale dei bersaglieri, Bruno Pompignioli, scomparso in Grecia e mai più ritrovato. I nostri progetti morirono a vent’anni. Le guerre partono sempre dalle dittature.
Anche lei era ufficiale, in artiglieria del Terzo corpo d’Armata. Perché dopo l’8 settembre 1943 non aderì alla Repubblica di Salò?
Per due motivi. Primo perché la mia licenza scadeva il 9 settembre 1943. Secondo perché in estate conobbi a Viareggio una donna molto colta la quale mi parlò di democrazia, che io cresciuto nel fascismo non conoscevo affatto. Ne rimasi altamente affascinato. Mi annunciò che presto avremmo avuto anche noi uno Stato democratico. Ne ero entusiasta e così ne parlai con una persona che conoscevo senza sapere che fosse un delatore. In modo rocambolesco, pochi giorni dopo, mi avvertirono che per quelle parole sarei stato deportato in Germania. Così mi nascosi fino a quando trovai ancora questa donna che mi fece la proposta di lavorare per gli alleati.
In che modo?
Come informatore dei servizi segreti britannici.
Come ci riuscì?
Andai in una caserma e parlai con un comandante dell’esercito. Mi informò che sarei andato al seguito della Todt con il compito di manutenzione delle linee e infrastrutture ferroviarie. Fui scelto come comandante degli automezzi che operavano vicino Roma, ma una volta arrivato nel Capitale sarei entrato in contatto con i funzionari della Intelligence Service per avere istruzioni del mio vero compito. E così avvenne. Fui un sabotatore all’interno del territorio occupato dai tedeschi, nello specifico a Cassino. Il mio compito fu quello di fotografare con gli occhi tutti i bunker nazifascisti. E per due volte ho inoltrato le mie informazioni. Poi non ho saputo più niente. E con la Todt iniziammo a risalire lo Stivale. Una mattina mi alzai per lavorare nel bosco, ma i tedeschi erano spariti. Arrivarono i miei compagni con i fazzoletti rossi al collo. Erano diventati tutti partigiani, capii allora che la guerra era finita.
Cosa ha rappresentato per lei la guerra?
Ha condizionato tutta la mia vita. Ho combattuto nei Balcani fino alla Grecia, ho comandato centinaia di uomini e non è stato facile, soprattutto perché oltre alle responsabilità dovevo approcciarmi alla loro conoscenza umana. Ho imparato che si ha sempre a che fare con un 80% di persone di brave persone. Poi ce n’è un 20% diversi, alcuni più intelligenti o più buoni che hanno un livello intellettivo superiore mentre altri hanno un dna cattivo, difficilmente recuperabili e con un futuro problematico. Questo insegnamento l’ho portato con me e constatato per tutta la vita.
Nel dopoguerra inizia la sua seconda vita che lo porterà a diventare un impresario tra i più importanti d’Italia. Quali furono i primi passi?
Venni assunto alla tenuta di Cotorniano (provincia di Siena). Il mio compito era quello di controllare i lavori di ricostruzione da parte di tre ditte edili senesi. Così in sella al mio cavallo giravo tutti i poderi dell’azienda per vedere l’andamento delle opere, ispezionare gli operai eccetera. Ci ho lavorato tre anni.
E poi?
Passai alla fattoria Le Reniere, vicina a Cotorniano. La proposta che mi venne fatta dal proprietario era irrinunciabile, il mio compito fu quello di rimettere in attività le cave di marmo entrando in società al 30% oltre ad amministrare la tenuta. Accettai. In pochi mesi, la ditta entrò in piena funzione ed al contempo decisi di allargarmi entrando in società con un artigiano di Rosia al quale facevo tagliare i marmi che maggiormente mi piacevano. Iniziammo ad arredare i bagni, le case, gli appartamenti. Un bel lavoro.
La svolta quando avvenne?
Poco dopo, quando una persona mi convinse a mettere su una nuova società, con altre finalità rispetto a quelle a cui avevo lavorato fino ad allora. Lui avrebbe fornito il gasolio alla centrale amplificatrice dei Telefoni di Stato, a Siena e Pisa. Io dovevo invece occuparmi dei lavori di installazione dei fili, del cablaggio ed altro. Con due muratori molto bravi e fidati iniziai le mie opere per i Telefoni di Stato. Anno dopo anno siamo cresciuti fino a diventare una grande impresa, mezza telefonica e mezza edile.
L’Italia del centrosud deve alla sua ditta la copertura telefonica totale?
Senz’altro sì. In Sicilia ad esempio ci abbiamo lavorato vent’anni, oltre alla posa dei filamenti passammo dai telefoni a fili a quelli coassiali che da ottocento telefonate diventarono novemila. Poi le centrali amplificatrici ed altro. Per tutta la vita è stato così.
E’ diventato famoso?
Non direi, ma ho lavorato direttamente con i vertici del Ministero e questo mi ha fatto conoscere tante persone influenti. La mia vita è stata senz’altro interessante, anche economicamente.
Che bilancio fa in generale?
Sono testimone di un’epoca. Il valore più grande resta ancora oggi la democrazia benché la grande percentuale degli astensionisti ci dice che in questa democrazia qualcosa non va. Quando le minoranze decidono per le maggioranze è un pericolo.
Il periodo più bello che ha vissuto?
Nonostante la guerra e i lutti, dal 1940 al 1960, che sono poi i miei venti e trent’anni.
La persona che le ha lasciato un segno importante?
Nessuna. Ho conosciuto comunque persone di grande intelligenza come il conte Chigi Saracini, ma anche molte che non valevano niente.
Ha lavorato anche a Siena?
Sì, qui avevo la sede dell’azienda ed ho lavorato molto, a partire dal Comune. In particolare al teatro dei Rinnovati e nella strada che va all’ospedale. In viale Toselli abbiamo fatto una grande opera prima della nascita della zona commerciale.
Le manca il suo lavoro?
No, perché il mio lavoro è diventato molto burocratico e la troppa burocrazia genera inefficienza. Non mi ci ritroverei.
Personaggi di Siena che in un secolo ha ammirato o di cui ha avuto stima?
Ho sempre pensato al lavoro e meno alle relazioni. Però devo dire che l’Accademia dei Rozzi è stata fondamentale per me. Lì ho conosciuto persone davvero interessanti, a partire dal commendatore Vaselli oppure Guido Avanzati. Ancora oggi ho amici che mi stimano e quando gli accademici fanno i pranzi vado sempre volentieri.
Qualche senese che ha stimato ci sarà…
L’ex sindaco Mauro Barni, siamo stati molto amici. Anche Pierluigi Piccini ho stimato molto.
Si è legato ad una contrada?
Io sono arrivato stabilmente a Siena nel primo dopoguerra. Ma la città è particolare. Se non sei senese è difficile entrare totalmente nel tessuto sociale cittadino e soprattutto dei rioni. Non sarai mai completamente contradaiolo. Mi sono comunque legato alla contrada della Tartuca grazie ad un amico che mi portò a cena una sera negli anni ’60.
E oggi?
La mattina leggo i giornali e poi mi dedico a quello che voglio fare, qualche passeggiata o un pranzo ai Rozzi. Scrivo quotidianamente le mie memorie e la sera mi piace conversare con una persona con cui ho un buon feeling intellettuale.
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