Siena
A ottant’anni dalla Liberazione, il 25 aprile resta una data centrale ma irrisolta nel dibattito pubblico italiano. A ricordarlo – con toni lucidi e mai scontati – è il professor Mario Ascheri, storico del diritto, che, interpellato sul significato odierno della ricorrenza, invita a riflettere senza cedere né alla retorica né alla polemica.
Secondo Ascheri, la festa della Liberazione “continua a non essere condivisa, a non essere il nostro 14 luglio francese”: un’occasione che non riesce a diventare patrimonio nazionale unificante, troppo spesso piegata a usi ideologici e polemici. Una situazione che, dice il giurista, non è molto cambiata rispetto ai primi anni Novanta, quando già osservava simili tensioni in articoli e interventi su riviste allora impegnate a interrogarsi sulla memoria storica del Paese.
Eppure, avverte Ascheri, oggi non sembrano profilarsi pericoli concreti di un ritorno del fascismo. Piuttosto, lo scenario odierno è segnato dalla difficoltà della sinistra a trovare nuovi linguaggi e ad affrontare la sfida posta dall’attuale governo, come dimostrerebbero – secondo il professore – alcune prese di posizione sopra le righe sia nel dibattito pubblico che nei cortei del 25 aprile. “Troppo spesso si ricade nella tentazione della semplificazione storica”, ammonisce Ascheri, che invita invece a confrontarsi con le pagine di autori come Zangrandi o Giorgio Bocca, o a visitare i cimiteri militari dove riposano i soldati alleati che contribuirono alla Liberazione.
Ma che cosa significa oggi essere antifascisti? Ascheri distingue due approcci. Il primo è quello “immediato, legittimo ma anche semplificante”, che identifica l’antifascismo con il ricordo di chi combatté contro il regime e con la condanna storica del fascismo. Si tratta, secondo lo studioso, di una tradizione che merita rispetto, perché è alla base della Repubblica e della Costituzione, ma che rischia di diventare un esercizio di memoria fine a sé stesso, se non sa parlare al presente e al futuro.
Il secondo approccio, più complesso e necessario oggi, invita a una “memoria selettiva e unitaria”, capace di favorire una vera riconciliazione nazionale. “Non si tratta di dimenticare né di assolvere”, spiega Ascheri, ma di prendere atto che il fascismo è stato sconfitto e condannato dalla storia e che l’Italia, dopo la fine della guerra e la caduta dei totalitarismi, ha conosciuto una profonda evoluzione politica e culturale, con la destra che si è dichiarata fedele ai valori liberaldemocratici e la sinistra che ha superato i modelli del passato.
In questa prospettiva, il professore invita a non cedere alla tentazione di trasformare la memoria storica in un terreno di scontro permanente. “Scheletri negli armadi ce ne sono un po’ dappertutto”, ricorda, riferendosi non solo alle responsabilità del fascismo e del comunismo, ma anche ai limiti e alle ombre della Prima Repubblica e del suo sistema politico. “C’è un’esigenza di azzeramento, di ripartenza con una Repubblica profondamente rinnovata”, afferma Ascheri, che invita a guardare con spirito critico sia alla storia sia ai miti fondativi dell’Italia contemporanea.
Il 25 aprile, dunque, dovrebbe essere celebrato come liberazione non solo dal giogo straniero, ma anche dalle condizioni sociali, culturali e politiche che rendono possibili nuovi estremismi. L’antifascismo, secondo il professore, deve diventare “permanente”: una tensione costante contro ogni forma di intolleranza, sopraffazione, violenza e censura, da qualsiasi parte provengano. Un compito che riguarda tutte le forze politiche e che coincide, in fondo, con i valori del liberalismo classico: il rispetto dei diritti, della diversità, della persona.
Ascheri conclude la sua riflessione con un appello al buon senso e alla capacità di superare le divisioni del passato: “Se vogliamo davvero emanciparci da ciò che continua a pesare sulla nostra storia, dobbiamo riscoprire quello spirito di fratellanza e cittadinanza che portò all’antifascismo storico, ma saperlo tradurre oggi in un impegno più impegnativo e universale”. Perché il rischio di un “fascismo permanente”, inteso come intolleranza e chiusura verso l’altro, è una minaccia costante nella società; e solo un 25 aprile vissuto come crescita culturale e civile potrà aiutare a costruire una memoria finalmente condivisa, dove avversari non siano più nemici, ma cittadini impegnati nella stessa eredità storica.
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