PAGINA LIBRI
Intervista ad Andrea Biasion che ha curato il volume scritto a più mani. Il libro rivela le storie, le emozioni e la socialità di un'epoca riscoprendo l'importanza dell'amicizia e del dialogo.
Andrea Biasion che ha curato il libro su Ravacciano
Il volume "C’era una volta… Ravacciano. Immagini e ricordi di un luogo ormai lontano", curato da Andrea Biasion e pubblicato da Betti, è stato presentato mercoledì scorso nella sala storica della Biblioteca comunale degli Intronati. Il libro di 350 pagine, scritto a più mani da ex residenti del quartiere, rappresenta un viaggio motivato e riflessivo attraverso i ricordi di un'epoca passata. Tra gli autori, oltre a Biasion, troviamo nomi come Francesco Burroni, Gianni Acciughi, Roberto Agnesoni, Mauro Fazzi, Maurizio Madioni, Riccardo Pagni, Alfiero Brogini, Antonio da Frassini, Duccio Delfino, Simone Gambelli, Stefano Iovine, Umberto Maggiorelli, Massimo Mantovani, Giovanni Papini, Paolo Ricci, Stefano Sanguineti, e Roberto Viligiardi.
Il volume è un compendio di valori come l'amicizia, la socialità e la curiosità, sicuramente da riscoprire in questa quotidianità contemporanea fatta di social network e telefonini. Nel racconto di quei giorni, emerge un mondo dove nulla era dato per scontato e la voglia di stare insieme era esplorata in mille modi diversi. L'adolescenza, con le sue incertezze e curiosità, viene dipinta come un periodo di crescita sia fisica che interiore. "Il libro - spiega Andrea Biasion - nasce proprio con la volontà della memoria, di descrivere la vita vissuta nel quartiere di Ravacciano, nato in buona parte per accogliere gli sfollati di Salicotto che lasciavano un luogo malsano per vivere in case nuove, luminose e salubri, tra l’altro con un panorama su Siena meraviglioso."
Qual è la chiave di lettura del libro?
Sicuramente l'amicizia, il valore del confronto e dello stare insieme. Ravacciano ha avuto luoghi di aggregazione importanti, prima di tutto la chiesa, che sin dalla sua nascita negli anni '60 è stata gestita da un sacerdote illuminato, Don Francesco Lorenzini, l'unico prete a dipingere un Palio nel 1965. All’ombra del campanile ha accolto tutti i giovani del quartiere ed è stato davvero qualcosa di unico. Don Francesco era anche un appassionato di calcio e, grazie al dono di un pezzo di terreno dietro alla chiesa, ha fatto nascere quel campino di calcio che è diventato storico. Proprio lì stavamo sempre tutti insieme, sono nati tornei durati negli anni. Davvero qualcosa di eccezionale.
E’ stato anche un modo di crescere culturalmente?
Sì. Don Francesco era una persona molto eclettica ma sensibile. Ad un certo punto mise insieme un'attività teatrale e sotto la chiesa dell’Immacolata fece costruire una stanza molto grande, allestendo un palco. Nacque una filodrammatica che ci fece conoscere ed esplorare anche questo mondo. Inoltre, allestì anche un coro per le funzioni religiose e cantavamo in tutte le feste, come Natale o durante le messe. Si provava ogni sera. Insomma, è stata un’adolescenza piena di stimoli. Nessuno era a zonzo per il quartiere senza sapere cosa fare. Il bello era questo che pur privi di supporti tecnologici, avevamo un altro dono più importante: la parola, il confronto, il dialogo. Oltre ad essere uniti, imparammo a chiacchierare di tutto, dal Vietnam alla guerra fredda; ognuno di noi raccontava il proprio pensiero e tutti ascoltavamo. C’era capacità di esprimerci anche su cose banali, e questa è stata un'importante palestra di vita.
È vero che avevate messo su anche il Cantagiro?
Sì, è vero. Stando insieme e dando forza a molti elementi aggreganti, io insieme ad altri che suonavano strumenti musicali abbiamo inventato il Cantalberino. In sostanza, mettemmo su un gruppetto musicale e facevamo da orchestra a chi voleva esibirsi. Il nostro presentatore era Gianni Acciughi e una volta, sulla canzone di Fossati, "Jesahel," vestimmo il cantante come era realmente il coro del cantautore. Il Cantalberino durò una decina di anni, fu una bella esperienza.
Cosa vuole trasmettere il libro?
La storia importante di un quartiere, ma non in forma di nostalgia. Il libro è nato proprio su due elementi: foto e parole. Ci sono racconti davvero entusiasmanti e profondi che fanno riemergere storie uniche, talvolta romanzate e poetiche, non scontate, come quelle che riguardano il bar dove rimanevamo anche dopo la chiusura. Noi ci siamo costruiti il nostro sapere attraverso qualche libro e tanta curiosità del tempo che cambiava in fretta, ma soprattutto nel nostro stare insieme. Anche oggi, noi di Ravacciano, ci rivediamo spesso.
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