L'evento
Steve McCurry e il rettore Di Pietra
Un narratore per immagini unico al mondo, un tessitore di relazioni impossibili, che ha sempre saputo restituire al meglio le caratteristiche antropologiche di popoli e culture, cogliendo con i suoi scatti magnifici i lati più profondi e drammatici di guerre e violenze: l’Università di Siena ha celebrato il maestro americano Steve McCurry, 75 anni, uno dei più grandi fotografi viventi, conferendogli ieri la laurea magistrale ad honorem in “Antropologia e linguaggi dell’immagine”, nel corso di una cerimonia emozionante nell’aula magna del Rettorato. Dove campeggiava “The Afghan Girl”, uno degli scatti più famosi ed iconici della storia della fotografia, firmato dallo statunitense nel 1984.
Fotografare e dare voce al dolore e alla tragedia delle vittime dimenticate e invisibili dei conflitti, per rompere il silenzio su inaccettabili violenze e far riflettere il mondo intero: una vita dietro l’obiettivo per McCurry, che in quarant’anni di attività ha documentato sul campo molteplici guerre, portando un messaggio oggi più che mai attuale e stringente visto quanto sta accadendo a Gaza. “Un crudele massacro del popolo palestinese e un inaccettabile genocidio” lo ha definito in apertura della cerimonia il rettore Roberto Di Pietra, chiedendo ai presenti un sentito minuto di raccoglimento.
“In Palestina la fotografia non cambia la situazione – ha commentato McCurry - però dà un contributo importante, perché mostra al mondo la realtà delle persone che vivono difficoltà e condizioni drammatiche". Il celebre maestro – che ha portato in dote a Siena una collezione inedita di scatti - ha ripercorso la sua strepitosa carriera, iniziata grazie alla visione della foto di un monsone. “Mi ha estasiato – ha raccontato – volevo vederlo coi miei occhi. La fotografia è stato un mezzo per conoscere ed esplorare il mondo e le sue culture, religioni”. Le immagini, per McCurry, "sono fondamentali per informare, per rendere più consapevoli e per stimolare ognuno di noi a fare la propria parte, anche nel nostro piccolo, qui nel cosiddetto primo mondo, per cercare di migliorare le cose". Compito dunque del fotografo, ha aggiunto, "è dare voce a chi non ce l'ha, in queste situazioni disperate, le persone sembrano non avere voce, come se fossero ai margini del mondo".
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