La storia
Alberto Moravia
Fu un amore breve ma destinato a lasciare un’ombra lunga. Siamo alla fine degli anni Venti, in Toscana. Alberto Moravia ha ventitré anni ed è già circondato da un’aura speciale: ha appena pubblicato Gli indifferenti (terminato a Cortona), romanzo che ha scosso il panorama letterario italiano e lo ha consacrato come voce nuova, lucida e impietosa. Nelle sale del palazzo Bracci Testasecca di Montepulciano, crocevia di intellettuali, aristocratici e oppositori del regime, Alberto incontra Silvia Piccolomini, giovane nobildonna senese dal portamento elegante e dal fascino non convenzionale. Lei non ha la bellezza classica delle dive ma una grazia sottile, malinconica che rapisce lo scrittore. Lui, fragile nel fisico e vigoroso nello spirito, vede in quell’incontro la possibilità di un legame profondo, persino di un matrimonio.
Tra maggio e luglio del 1929, i due vivono un’intesa intensa, segnata da passeggiate, conversazioni, momenti di confidenza. Ma la relazione si incrina presto. Nella cerchia di amici e conoscenti, complice la propensione al gossip di Umberto Morra di Lavriano, circolano dettagli troppo intimi. Silvia si sente esposta, giudicata, quasi ingannata. La differenza sociale pesa e l’idea che Moravia possa aver visto in lei soprattutto un buon partito inasprisce il suo orgoglio. Lo strappo è netto: la giovane ordina di bruciare tutte le lettere ricevute dallo scrittore, cancellando con un gesto drastico la traccia di quell’amore che l’aveva lusingata e delusa.
Moravia ne resta ferito. La fuga a Londra, nell’ambiente più respirabile del Bloomsbury Set, gli offre un rifugio ma la delusione resta incisa. Silvia, d’altro canto, pur avendo voltato pagina e sposato in seguito il fotografo Giacomo Pozzi-Bellini, conserverà un filo di tenerezza. Alcune lettere successive lo dimostrano: la curiosità di leggere i romanzi dell’ex fidanzato, il desiderio di rivederlo, l’ammissione che quello schiaffo e quell’addio erano stati inevitabili.
Rimane l’eco di una passione mai del tutto sopita, la memoria di un’occasione che avrebbe potuto cambiare il corso delle cose. E forse è pensando anche a questa stagione inquieta che Moravia, qualche anno più tardi, nel 1934, scriverà all’artista Lélo, con la quale viveva una relazione non esente da conflitti e tradimenti: «l’amour comme toute autre chose de cette vie n’est rien moins que tragique» (L’amore, come ogni altra cosa di questa vita, non è niente di meno che tragico).
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