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Il caso

Safari della morte a Sarajevo: turisti "cecchini" pagavano per uccidere nel weekend, l'inquietante indagine partita a Milano. Esisteva un tariffario, cosa sappiamo

Si indaga con l’accusa di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e dai motivi abbietti, al momento a carico di ignoti. I presunti fatti durante l'assedio alla capitale bosniaca tra il 1993-1995

Caterina Iannaci

11 Novembre 2025, 16:58

Assedio Sarajevo

Un bambino durante l'assedio di Sarajevo

A trent’anni dai tragici eventi della guerra in Bosnia, la Procura di Milano ha aperto un’inchiesta su un capitolo oscuro e ancora poco conosciuto: i cosiddetti “safari della morte” di Sarajevo, in cui cittadini italiani, soprattutto provenienti dal Nord Italia, avrebbero pagato per partecipare come “cecchini del weekend” all’assedio della capitale bosniaca tra il 1993-1995, sparando sui civili per divertimento. Il fascicolo è stato aperto dal pm Alessandro Gobbis con l’accusa di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e dai motivi abbietti ed è al momento a carico di ignoti.

Il fenomeno dei “turisti della guerra”

Questi “turisti della guerra” erano perlopiù simpatizzanti dell’estrema destra, appassionati di armi e caccia, che si radunavano a Trieste e venivano poi trasportati sulle colline attorno a Sarajevo, dove pagavano milizie serbo-bosniache per sparare sulla popolazione assediata. Le vittime, tra cui donne, uomini e bambini, furono migliaia: secondo le stime, oltre 11.000 persone morirono durante l’assedio, e tra loro ci sarebbero anche vittime colpite da questi “cecchini del weekend”

Le indagini e le testimonianze

L’inchiesta milanese nasce da un esposto presentato dal giornalista e scrittore Ezio Gavazzeni, con la collaborazione di avvocati e dell’ex magistrato Guido Salvini. Le testimonianze raccolte indicano che almeno cinque italiani, tra cui un uomo di Milano proprietario di una clinica estetica, sarebbero stati identificati sulle colline sopra Sarajevo nel 1993. Le informazioni furono condivise anche con il Sismi (oggi Aisi), che all’epoca era presente a Sarajevo. 

Modalità e tariffe dei “safari della morte”

Secondo le ricostruzioni, esisteva una vera e propria tariffa per queste uccisioni: i bambini costavano di più, seguiti dagli uomini (preferibilmente in divisa), dalle donne e infine dai vecchi, che si potevano uccidere “gratis”. La copertura dell’attività venatoria serviva a far passare questi gruppi senza sospetti, utilizzando anche infrastrutture di compagnie aeree serbe di charter e turismo

L’eredità di un orrore

Questi “safari della morte” rappresentano un capitolo brutale della storia della guerra nei Balcani, dove la violenza si è trasformata in un macabro spettacolo per turisti assetati di emozioni forti. Oggi, a distanza di decenni, la giustizia italiana cerca di fare luce su questi crimini, rimasti a lungo nell’ombra, grazie anche alla tenacia di chi ha raccolto testimonianze e documenti per portare alla luce la verità.

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