La storia
Gabriela e Renata Trandafir
Il femminicidio di Gabriela e Renata Trandafir rappresenta una tragedia che ha scosso profondamente la comunità di Castelfranco Emilia (Modena) e ha messo in evidenza gravi lacune nella tutela delle vittime di violenza domestica. Il 13 ottobre 2022, Gabriela Trandafir, 47 anni, e sua figlia Renata, 22, entrambe di origine rumena, furono assassinate nella loro abitazione dal marito e patrigno Salvatore Montefusco, imprenditore edile con cui Gabriela conviveva. La tragedia è ripercorsa nel nuovo appuntamento di “Amore Criminale”, condotto da Veronica Pivetti e in onda stasera alle 21.20 su Rai 3.
Gabriela aveva più volte denunciato le violenze subite, presentando querele contro Montefusco già un anno prima dell’omicidio, nel luglio 2021. Tuttavia, secondo l’accusa, alcune di queste denunce non furono accolte con la dovuta tempestività; in particolare, un carabiniere della stazione locale non raccolse la prima denuncia di Gabriela, fatto ora oggetto di procedimento penale per omissione o rifiuto di atti d’ufficio. La vicenda ha mostrato come la mancata presa in carico delle segnalazioni abbia lasciato una donna e la figlia senza protezione.
Salvatore Montefusco
Il duplice omicidio si consumò il giorno prima di un’udienza in tribunale fissata per la separazione giudiziale tra Gabriela e Montefusco, segno del tentativo di Gabriela di uscire da una relazione violenta. Montefusco sparò con un fucile alle due donne, uccidendole sul colpo. In primo grado, nel gennaio 2025, l’uomo fu condannato a 30 anni di carcere, ma in appello la sentenza fu inasprita fino all’ergastolo il 15 settembre 2025.
Parallelamente al processo per il femminicidio, si è aperto un procedimento contro il carabiniere che non aveva raccolto la denuncia iniziale di Gabriela. L’udienza dibattimentale è stata fissata per il 20 gennaio 2026, con l’accusa di omissione o rifiuto di atti d’ufficio. La famiglia delle vittime non ha sporto denuncia contro il militare, ma ha manifestato solidarietà all’azione della Procura, confidando nel chiarimento e nella giustizia.
Un elemento particolarmente straziante emerge da una lettera scritta da Gabriela qualche giorno prima della morte, nella quale raccontava le minacce subite e la paura: «Si è sempre vantato di avere conoscenze tra le forze dell’ordine... Una volta uscita dalla caserma ero ancora più spaventata di quando ero entrata». La donna aveva nascosto prove delle violenze in una valigetta che avrebbe voluto consegnare al giudice, ma purtroppo non è mai riuscita a farlo. La sorella di Gabriela ha espresso un profondo senso di colpa per non aver agito in tempo.
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