L'intervista
Augusto Mattioli
Insegnante di educazione fisica, giornalista, fotografo, insegnante di basket e scopritore di talenti: le mille vite di Augusto Mattioli, decano dei giornalisti senesi classe 1944, un’autentica istituzione della città, di cui ha raccontato l’evoluzione e la storia degli ultimi sessant’anni grazie agli scatti della sua macchina fotografica.
Augusto Mattioli col grande Steve McCurry
una passione, quella per la fotografia, che nasce da lontano, alimentata dall’inesauribile ed innata curiosità e voglia di scoprire e registrare fatti e avvenimenti in maniera diretta, senza sconti, coerentemente con il suo carattere e il suo modo di fare informazione. Chi non lo riconoscerebbe in sella alla sua bicicletta pronto a catturare con l’obiettivo immagini e volti?
Mattioli è giornalista pubblicista dal 1976, ed è forse stato il primo vero “fotoreporter” della città: ha collaborato con tante testate locali e nazionali, tra cui Paese Sera, l’Unità, Il Tirreno, Agenzia Italia, Siena Cronache, Nuovo Corriere Senese e Cittadinoonline, facendo anche da corrispondente per Siena dell’Agi. Oltre all’attività giornalistica, che si intrecciava con quella scolastica – insegnante storico del Bandini, con lui sono cresciute intere generazioni di studenti senesi che ancora oggi lo salutano e fermano per strada con affetto – ha pubblicato tanti ed interessanti volumi fotografici, tra cui ad esempio gli undici fascicoli della collana “Augustorie”, che raccolgono volti, storie e scorci di Siena dagli anni settanta al duemila, poi “Aspettando i barbari”, che narra la storia della città e del fotogiornalismo.
L’attività di Mattioli non si è fermata alla città del Palio: l’occhio clinico della sua macchina fotografica ha immortalato scene e momenti anche all’estero e in particolare in zone di guerra, paesi e realtà complesse, come il Libano, Medio Oriente, Palestina e Sarajevo.
Le migliaia di foto scattate, autentici cimeli che riportano i principali momenti della storia cittadina – Palii, elezioni di sindaci, fatti di cronaca, incontri politici, manifestazioni – sono raccolte in un archivio, disseminato in parte nelle sue pubblicazioni, che rappresenta un patrimonio davvero ineguagliabile e che va tutelato ad ogni costo.
Nei giorni scorsi Mattioli è stato protagonista del quarto e ultimo incontro del ciclo “Approccio alla Fotografia”, organizzato da Mohsen e dal Circolo Arci Lavoro e Sport, in collaborazione con la Fondazione Territori Senesi. Mattioli ha raccontato la sua esperienza e passione, riflettendo sul potere della fotografia di raccontare la realtà tramite lo sguardo sempre personale e autentico.
Come è nata la passione per la macchina fotografica? C'è un aneddoto in particolare degli inizi? Il primo scatto in assoluto?
È iniziata fin da ragazzo essendo molto curioso, un’attività che svolgevo anche con mio fratello. Ho iniziato con una piccola macchinetta a pellicola, non sapendo molto di tecnica. Ma piano piano ho cominciato a capirci qualcosa e ho provato anche a fare anche riprese cinematografiche e a montarle, ma ho smesso perchè mi piaceva l'immagine singola. Il primo scatto è difficile ricordarlo: facevo foto prendendo come modelli i miei parenti. Solo che ho poche pellicole di quel periodo, qualcosa però mi è riuscito a salvare.
C'è una foto, tra le tante scattate, cui è rimasto particolarmente legato?
Ogni foto ha una sua storia. E tutte per me sono importanti. Ognuna mi dice qualcosa. Per cui mi è difficile individuarne una in particolare. Ci sono immagini che avrei voluto scattare e non ho fatto per varie ragioni a partire dal rispetto di chi era il soggetto della foto. Ci sono delle circostanze per cui è meglio soprassedere. A volte invece ho fatto foto quando qualcuno mi ha intimato di non farle. Le proibizioni non le ho mai sopportate. Quando anni fa a Siena ci fu il congresso eucaristico nazionale venne il Presidente della Repubblica Scalfaro la sua guardia del corpo ci intimò di non fare foto quando era in ginocchio. Quella foto c'è l'ho in archivio
Quanto è cambiato oggi rispetto agli scorsi decenni il mondo della fotografia, e in correlazione, del giornalismo?
Ci sarebbe da scrivere un trattato sui cambiamenti nel mondo della foto e del giornalismo. Oggi è tutto più immediato e magari una foto e una notizia passano in fretta sui social. Per cui il rischio è la superficialità, il poco approfondimento di un evento.
La fotografia è ancora uno strumento fondamentale per testimoniare la realtá?
Certamente, un’immagine penso sia più efficace di un pezzo di 50 righe.
Ha portato il suo obiettivo anche in paesi esteri e in Medio Oriente, dove le piacerebbe poter fotografare in questo momento storico?
Direi che mi piacerebbe tornare in Medio Oriente dove sono stato più volte. Sia in Palestina, Israele e Libano. Una situazione che ancora è lontana dall'essere risolta. Ma tornerei volentieri anche a Sarajevo dove sono stato per una esperienza di cooperazione e dove ho scattato una delle foto che più mi hanno soddisfatto. Ovvero quella dei ragazzi che giocano a basket dove il canestro è montato sulla parete di un edificio distrutto. Una immagine che fu pubblicata a doppia pagina in apertura di giornale dai Giganti del basket.
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