Siena
Il Crocifisso di Alberto Inglesi è finalmente arrivato nella Basilica di San Francesco dopo quasi 30 anni da quando si è cominciato a parlare della sua collocazione. Opera moderna in un contenitore antico, la scultura si impone oggi nello spazio sacro con la forza di una testimonianza che è insieme vertice estetico e reliquia storica. Per comprenderne la potenza, basta volgere lo sguardo alla cornice che la accoglie: la navata unica, le pareti in cotto, il respiro severo del XIII secolo, gli affreschi dei Lorenzetti che dialogano con il sacro. In un simile scrigno, ogni inserimento contemporaneo rischia di spezzare l’armonia; eppure il Crocifisso non soccombe alla monumentalità gotica, ma la abita con naturale autorevolezza, creando una continuità ideale tra il legno di oggi e il materiale medievale, tra la povertà dei materiali e la nobiltà dell’ingegno umano.
Quest'opera fu al centro della messa celebrata da Giovanni Paolo II in piazza del Campo nel 1994. Dopo la benedizione, il papa chinò il capo e ne baciò i piedi: un gesto semplice e assoluto, che ha trasformato il legno in reliquia. Il contatto del santo ha impresso una memoria invisibile, destinata a durare oltre il tempo. Resta il mistero dei decenni di silenzio. Perché il capolavoro è rimasta celato così a lungo? Inglesi lo sa ma non risponde: custodisce una ragione personale, sigillata nel suo cuore. E questo segreto non indebolisce, ma accresce il magnetismo del Crocifisso, che oggi ritorna alla città come icona d’arte, di fede e di enigma.
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