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La Festa

Il Palio di Siena nel cinema, tra realtà, mito e finzione: il mondo dei fantini raccontato da Luca Verdone

Son dieci assassini (2002), documentario realizzato per RAI International, propone un taglio del tutto originale

Giuseppe Simone  Modeo

02 Luglio 2025, 11:01

Luca Verdone

Luca Verdone

Il Palio di Siena, con la sua potenza simbolica, la carica emotiva e la teatralità visiva, è da sempre materia di grande interesse per la cinematografia. Tuttavia, trasportare l’anima della Festa più sentita dai senesi sul grande schermo si è rivelato un esercizio spesso complesso e a volte arduo che ha generato poche opere memorabili e molte occasioni mancate.
Un amore difficile: il Palio nella fiction cinematografica.

Il primo vero tentativo di portare il Palio al cinema si deve ad Alessandro Blasetti con Palio (1932), un film che, nonostante i limiti tecnici e narrativi dell’epoca, riesce a restituire una visione per molti versi autentica. Merito soprattutto della sceneggiatura di Luigi Bonelli, conoscitore profondo della tradizione contradaiola. Sebbene inficiato da alcune licenze artistiche – come la rivalità inventata tra Civetta e Lupa o le improbabili scene teatrali della corsa – il film trasmette un pathos sincero, culminante nel volto di Fiora, la fidanzata del fantino Zarre che vibra nell’emotività dell’attesa.

Venticinque anni dopo, La ragazza del Palio (1957) di Luigi Zampa, tenta di rinnovare il legame tra amore e competizione paliesca ma il risultato è una commedia stereotipata, dove la tradizione senese appare come sfondo decorativo. Nonostante il richiamo alla mitica figura di Virginia, unica donna vittoriosa nella storia del Palio, l’opera scivola nella leggerezza turistica del Technicolor e non lascia traccia profonda.

Negli anni successivi, altri tentativi si alternano tra goffaggine narrativa e uso marginale della Festa. È il caso di Corri come il vento Kiko (1982), film ingenuo e improvvisato o Giulietta del Palio (1983), mediometraggio televisivo che pur con buone intenzioni non riesce a rendere giustizia alla complessità dei legami contradaioli. Anche quel movimento che mi piace tanto (1976) di Franco Rossetti o Il Burbero (1986) di Castellano e Pipolo utilizzano il Palio in modo accessorio, per enfatizzare la provincialità o il pittoresco, senza coglierne la profondità culturale.

Una menzione a parte meritano Piazza delle cinque lune (2003) e Quantum of Solace (2008), dove il Palio entra in modo spettacolare in trame pur molto distanti dalla tradizione senese. Entrambe le produzioni si sono avvalse della collaborazione del Consorzio per la Tutela del Palio che fin dagli anni ’90 vigila affinché la rappresentazione audiovisiva della Festa fosse corretta e rispettosa della realtà contradaiola.

Molto più riuscito è invece l’approccio documentaristico, che consente una narrazione più rispettosa e autentica. Tra i titoli di maggiore rilievo ricordiamo Visioni di Palio e Il bianco e il nero di Anton Giulio Onofri, opere che cercano di restituire l’anima della città e delle sue Contrade senza forzature finzionali. In particolare The Last Victory (2004), del regista olandese John Appel, ha saputo raccontare la tensione, la speranza e la delusione della Contrada dell’Aquila nell’attesa della vittoria, regalando al pubblico internazionale un’immagine viva e partecipata del Palio.

A questi si affianca, primeggiando, Son dieci assassini (2002), documentario realizzato da Luca Verdone per RAI International che propone un taglio del tutto originale. Lontano dalla celebrazione folklorica o dall’epica della Contrada, Verdone sceglie di concentrare lo sguardo sui fantini, figure spesso ritenute “mercenarie” all’interno dell’immaginario senese. Proprio nei primi piani di Aceto, Canapino o Tristezza, si rivela un’umanità intensa, fatta di disciplina, orgoglio e fatica quotidiana. Il regista Luca Verdone ci ha rilasciato un’intervista.


Come nasce l’idea di raccontare il Palio dal punto di vista dei fantini?

"L’idea di raccontare il mondo dei fantini nel mio documentario “Son 10 assassini” è nata come prolungamento di un mio precedente filmato televisivo prodotto da Folco Quilici nel 1980 dedicato soprattutto alla rivalità tra Aceto e Bastiano, i due fantini di maggior spicco in quel periodo. “Son 10 assassini” riprende la strofe di un canto contradaiolo “Quanto è bella la Piazza di Siena circondata da dieci fantini. Vanno alla mossa, son dieci assassini”. Il tema era il mondo dei fantini, le tecniche, le strategie, le soddisfazioni e le grandi delusioni delle loro corse al Palio. A queste considerazioni che vediamo ben espresse da Aceto, Trecciolino, Dè, Spillo e altri che hanno chiuso drammaticamente la carriera, si aggiungono alcuni pensieri personali sul Palio, sul ruolo che riveste nell’immaginario contradaiolo durante tutto l’anno. Ho interpretato il Palio non solo nella sua tradizione storica ma anche nel messaggio interiore che ciascun contradaiolo conserva sin dalla nascita. Una promessa di eterna giovinezza che si rinnova ad ogni carriera per sconfiggere la morte. Direi che il senese rinasce in ogni Palio".

Quanto è stato difficile ottenere accesso al mondo dei fantini che si dice essere molto chiuso?

"Non è stato difficile avvicinarmi al mondo dei fantini, nel 2003 quando, ho realizzato il documentario per Rai International. Frequentando Siena sin dagli anni ‘60 con un padre e i nonni selvaioli che mi hanno introdotto nel loro ambiente, mi sono state offerte molte occasioni di vivere la contrada. I dirigenti mi hanno permesso di conoscere molti fantini della Selva. Il primo è stato Bazza. Recentemente ho avuto modo di conoscere, con l'ex capitano Alessandro Giorgi, Giovanni Atzeni detto Tittia, Tempesta e Brigante. Per conoscere bene il mondo dei fantini occorre avere la fiducia dei capitani, dei barbareschi e, ovviamente, creare un rapporto d’amicizia con chi deve “montare” il “Bàrbero”. Se non ti attieni a queste regole è difficile dire qualcosa di interessante in un documentario. Infatti molti registi che realizzano documentari che vengono dall’estero hanno una visione superficiale del Palio".

Cosa ha appreso dalla frequentazione dei fantini?

"In realtà le sorprese e il succedersi a volte casuale degli avvenimenti in un 1 minuto e 18 secondi di corsa, le componenti della sorte come l’assegnazione dei posti al “canape”, contribuisce a mitizzare il ruolo dei fantini che a volte vengono additati come i responsabili di una sconfitta. Da questo deriva l’epiteto di “10 assassini”. La verità è che oltre all’innegabile abilità che un fantino deve garantire nella corsa ci vuole anche una buona dose di fortuna nello sfruttare a proprio favore le condizioni che si presentano sul Campo. La più importante è la velocità di esecuzione delle manovre sul cavallo per sorprendere gli avversari.
Raccontare il Palio con un film a soggetto si rivela impresa ardua anche per i cineasti più preparati. La Festa non è solo un evento: è un rito collettivo, una dimensione identitaria che sfugge alla semplificazione della sceneggiatura. Forse, l’unica modalità idonea è quella del documentario: osservare, comprendere, documentare e restituire con rispetto, senza filtri, lasciando che siano i volti, le attese, i silenzi e le urla dei contradaioli a ad esprimere il profondo pathos del Palio".

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