L'intervento
Agnese Carletti, presidente della Provincia di Siena
"Quando il Presidente Mattarella, a Lecce, ha sottolineato che “le Province non possono essere lasciate nel limbo”, non si è limitato a difendere un livello istituzionale; ha difeso l’idea stessa di Repubblica come ordinamento policentrico, in cui il territorio non è un’appendice dello Stato centrale ma il suo primo e più concreto livello di realtà. La mancata riforma delle province del 2016 ha prodotto enti che conservano funzioni costituzionalmente essenziali (art. 117 Cost.) ma con limitate risorse a disposizione, personale e legittimazione democratica diretta."
Inizia così l'intervento della presidente della Provincia di Siena, Agnese Carletti, sulle colonne de il Corriere di Siena.
"Il risultato è un paradosso: lo Stato chiede alle Province di fare ciò che la Costituzione prevede, poi nega loro i mezzi per farlo e, infine, le rimprovera di non riuscire. A Siena, come in tutte le 107 province italiane, lo misuriamo ogni giorno. Gestiamo 1.600 km di strade e 28 edifici scolastici con trasferimenti che coprono appena il 20% del fabbisogno reale di manutenzione. Eppure, quelle strade sono l’unico cordone ombelicale che tiene in vita territori come la Val d’Orcia, l’Amiata, la Valdichiana, il Chianti, le Crete Senesi — quelle scuole sono spesso l’ultimo presidio di Stato in borghi che hanno già perso farmacia, ufficio postale, distributori e stazione dei carabinieri. E non è una questione di ‘nostalgia’: non si tratta di “ripristinare” le vecchie Province. Si tratta di riconoscere che in un Paese lungo e fragile come l’Italia, la governance a tre livelli (Comuni, Province-Aree vaste, Regioni) non è un ‘vezzo’ ottocentesco ma la sola architettura capace di tenere insieme centro e periferia, città e aree interne, crescita costiera e resistenza montana. L’autonomia differenziata che si profila all’orizzonte rende la questione ancora più drammatica. Se le Regioni più forti assorbiranno ulteriori competenze e risorse, chi resterà a fare da collante tra lo Stato e i mille Comuni sotto i 5.000 abitanti? Chi coordinerà il contrasto al dissesto idrogeologico? Chi programmerà la mobilità scolastica o la messa in sicurezza degli istituti superiori? Non i Comuni, troppo piccoli e frammentati. Non le Regioni che rischiano di rimanere troppo lontane. Resterebbero solo le Province, se qualcuno decidesse di riconoscerne nuovamente il ruolo e le dotasse finalmente degli strumenti che meritano."
"Mattarella ha parlato di «leale collaborazione» tra livelli di governo. Ma la leale collaborazione non può essere asimmetrica: non si può pretendere che un ente svolga funzioni costituzionali mentre gli si tagliano funzioni e risorse una dopo l’altra, anno dopo anno. Le Province non chiedono elemosina. Chiedono coerenza attraverso la restituzione di risorse certe, autonomia finanziaria, personale e rappresentanza democratica. Ecco perché chiediamo al Parlamento, e prima ancora al governo, di accogliere con coraggio almeno le nostre proposte, che sono sensate e dirette a garantire i diritti dei cittadini. Abbiamo infatti chiesto come priorità che si istituiscano fondi pluriennali per gli investimenti sia per la modernizzazione e messa in sicurezza degli edifici scolastici, che per la realizzazione di un monitoraggio del rischio delle gallerie e dei ponti che insistono sulla rete viaria provinciale e per i conseguenti interventi di messa in sicurezza. Resta poi per le Province un'urgenza ineludibile: l'incremento delle risorse per ridurre lo squilibrio tra fabbisogni e risorse correnti. Abbiamo necessità di investire nel capitale umano. Infine, il tema del dopo PNRR che ha sicuramente rappresentato un’opportunità da cogliere. Ma ora, con l'orizzonte del piano che si chiude entro il 2026, i timori sono inevitabili".
"Il dopo PNRR rischia di lasciarci con un vuoto di risorse, esponendo i nostri territori a una frenata economica che potrebbe accentuare le disuguaglianze tra centro e periferia. Ho paura che, senza una visione nazionale chiara, le piccole comunità come le nostre vengano lasciate indietro, mentre l'inflazione galoppante e l'instabilità energetica minano i risultati faticosamente ottenuti. Il monito di Lecce, come ci ha abituati il Capo dello Stato, non assume i toni di un intervento di cortesia. È l’ultimo richiamo costituzionale prima che il vuoto lasciato dalle Province sospese diventi assenza nei territori. Ora tocca al Parlamento scegliere: continuare a fingere che l’Italia possa reggersi su due soli livelli di governo, oppure avere il coraggio di completare la riforma che il Paese e i cittadini aspettano da anni".
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