Siena
Alberto Monaci
Se n’è andato uno degli ultimi cavalli di razza della politica senese, Alberto Monaci. Era nato ad Asciano il 28 gennaio del 1941 e da qualche tempo gli acciacchi lo costringevano in casa ma sempre con il telefonino all’orecchio pronto a dispensare consigli, pillole di saggezza popolare e battute fulminanti condite dai soprannomi che assegnava ad amici ed avversari. E sapeva di averne uno anche lui, Zucca Pelata. Glielo aveva dato il suo compagno di partito Pierpaolo Fiorenzani detto Fioricino, uno dei primi nella notte a ricevere la brutta notizia. Insieme avevano militato prima nella Dc, poi nel Ppi e nella Margherita e infine nel Pd ma con i democratici il finale, per Monaci, è stato burrascoso.
Nel maggio del 2012 attribuiscono a lui la responsabilità di aver fatto cadere la giunta del sindaco Franco Ceccuzzi bocciando il bilancio consultivo del 2011. Monaci è a Firenze, sullo scranno di presidente del consiglio regionale, ma ai suoi manda a dire che il bilancio manca di legittimità.
Qualche giorno prima aveva fatto sapere a Ceccuzzi: “Non sa in che nassa si è messo”. Una delle battute feroci di cui era capace quest’uomo che ha dedicato la sua vita alla politica, dagli anni Sessanta fino ai giorni nostri.
Nella Dc si fronteggiava con l’altro Alberto, Brandani, che lo ha preceduto in paradiso perché entrambi cattolici sebbene con spirito laico speravano di finire lì, dove forse faranno finalmente pace.
I congressi democristiani erano battaglie furibonde e finivano quasi sempre in sostanziale parità. Poi, nelle riunioni del comitato provinciale, una volta Monaci conquistava la maggioranza e al congresso successivo era Brandani, che Zucca Pelata chiamava Biri, ad avere il sopravvento. E così si è andati avanti per anni fino a quando Monaci, cresciuto nella sinistra Dc, è rimasto nell’area di centrosinistra e Brandani ha sposato la causa dell’Udc di Pierferdinando Casini. Anche al Monte dei Paschi, di cui Monaci è stato dipendente senza fare carriera, erano su fronti contrapposti ed epico è stato lo scontro sull’acquisto della Banca Popolare Siciliana di Canicattì. Monaci faceva parte della segreteria del presidente Piero Barucci, contrario all’acquisizione per otto miliardi di lire, mentre Brandani era favorevole, con l’appoggio di Mario Bernini, pure lui cresciuto nella sinistra democristiana dell’Onesto Zac.
E proprio sulla banca siciliana si consumò lo strappo tra Monaci e Bernini, due vecchi amici, con il primo che riuscì a conquistare un posto in parlamento nel 1987 mentre il secondo per pochi voti non era riuscito nell’impresa qualche anno prima.
Neppure Gabriello Mancini, amico di entrambi, era riuscito a fare da paciere.
Con la politica nel sangue Monaci è stato un ingombrante presidente del consiglio regionale dal 2010 al 2015 quando Enrico Rossi era a capo della giunta e si vide attribuire il soprannome di Sisifo, che stava a indicare che si affannava in un’impresa ardua e dispendiosa di energie, ma inutile per i risultati nulli che consegue.
Pensavano di averlo imbalsamato nel ruolo di presidente del consiglio ma Monaci non era un taglianastri.
Gli piacevano le battaglie, che ha combattuto anche per mantenersi in salute fino all’ultimo dei suoi giorni.
Insomma, l’attribuzione del titolo di cavallo di razza Alberto Monaci se lo merita tutto. Ma ora riposati, caro Alberto.
I funerali si svolgeranno sabato alle ore 10,30 nella chiesa della Santissima Annunziata al Santa Maria della Scala.
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