Il caso
Chiara Poggi
Nel caso Garlasco, uno degli elementi più controversi e discussi resta l’impronta digitale denominata “33”, al centro di un acceso confronto tra accusa e difesa. Per la Procura di Pavia, l’impronta non solo sarebbe quella lasciata dal presunto killer, ma in particolare attribuibile ad Andrea Sempio, nuovo indagato nell’inchiesta, grazie alla corrispondenza di ben 15 “minuzie” palmari, dettagli specifici delle creste papillari che ne confermerebbero l’identità.
Dall’altra parte, però, i consulenti tecnici di Sempio e della famiglia Poggi contestano con forza questa attribuzione, sostenendo che la traccia “33” sia priva di elementi sufficienti per una comparazione affidabile. Secondo le perizie difensive, infatti, i punti di confronto rilevabili sono appena cinque, troppo pochi per una certezza scientifica. Questa posizione non è nuova: già nel 2007 i Ris di Parma avevano giudicato l’impronta “di nessuna utilità”, definendola una “traccia completamente priva di creste potenzialmente utili per gli accertamenti dattiloscopici”.
La Procura, guidata dal pm Fabio Napoleone, ha però respinto queste critiche, puntando sul lavoro degli esperti dei Ris di Roma, Gianpaolo Iuliano e Nicola Caprioli, che hanno confermato la validità della traccia. Per gli inquirenti, l’impronta sarebbe stata lasciata dal killer proprio nel momento in cui gettava Chiara Poggi sulle scale della cantina, e non potrebbe quindi risalire a un momento precedente al delitto, indipendentemente dalla presenza di sangue sulla superficie.
Andrea Sempio, in alcune interviste, ha ammesso di frequentare il seminterrato della casa per prendere giochi da tavolo con l’amico Marco Poggi, circostanza che però non ha convinto la difesa. I legali di Sempio, Angela Taccia e Massimo Lovati, hanno depositato una consulenza firmata dall’ex capo dei Ris Luciano Garofano e dal dattiloscopista Luigi Bisogno, ribadendo che l’impronta non è utilizzabile per una comparazione certa. Una tesi condivisa anche dai consulenti nominati dalla famiglia Poggi, che sottolineano la scarsa nitidezza della traccia e la presenza di minuzie non corrispondenti.
La posizione difensiva evidenzia inoltre come la zona in cui è stata trovata l’impronta sia facilmente accessibile a chiunque si trovasse sulle scale, mettendo in dubbio la sua esclusività. La famiglia Poggi, da sempre scettica sulle nuove indagini, ha chiesto che l’esame dell’impronta “33” venga incluso nell’incidente probatorio, anche per accertare la presenza o meno di sangue, richiesta però respinta dai pm.
Al momento manca ancora la consulenza dei difensori di Alberto Stasi, principale imputato nel processo, i cui esperti stanno lavorando per dimostrare che l’impronta potrebbe essere stata impressa nel sangue prima dell’applicazione dei reagenti da parte dei Ris, che avrebbero inibito il campione.
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