Cronaca
impronta 33 e Chiara Poggi
La scrittrice e criminologa Anna Vagli commenta in maniera non positiva la consulenza effettuata dalla difesa di Alberto Stasi sull’impronta 33 trovata all’interno della villetta di via Pascoli a Garlasco. Secondo il lavoro della difesa Stasi quell’impronta, che sarebbe attribuibile ad Andrea Sempio (attualmente indagato nelle nuove indagini per concorso nell’omicidio di Chiara Poggi), sarebbe “intrisa di sudore e di sangue”.
La criminologa Anna Vagli
Il lavoro della difesa Stasi è stato effettuato attraverso un esperimento giudiziale svolto in laboratorio e con una simulazione in 3d al computer. Sono questi elementi che non convincono la criminologa, che è stata intervistata dal quotidiano Il Giorno, e che si è detta perplessa sul lavoro effettuato: “Dire che un’impronta è insanguinata e intrisa di sudore senza avere più il muro su cui è stata lasciata è come fare un’autopsia con un filtro Instagram. Puoi anche vedere qualcosa, ma non saprai mai cosa c’era davvero. Senza l'impronta originaria, non c'è metodo forense”.
Non è più possibile oggi, a diciotto anni di distanza dal delitto, effettuare un’analisi reale su quell’impronta. Il motivo è presto detto. Dopo il delitto l’impronta 33 venne rilevata, e i carabinieri del Ris di Parma asportarono un pezzo dell’intonaco per poter realizzare tutti gli accertamenti del caso. Nelle analisi condotte all’epoca, tuttavia, non venne ritrovato materiale ematico in quell’impronta. Per questo motivo oggi il reperto non è più disponibile. I tecnici che fanno parte della difesa di Stasi hanno quindi utilizzato delle immagini fotografiche per andare a realizzare questa nuova analisi.
Per questo motivo la criminologa Anna Vagli è perplessa: “Un dato che non si può sottoporre a verifica non è scientifico. Le linee guida internazionali lo dicono chiaramente. Soprattutto lo dice la Cassazione. Una prova ha valore scientifico solo se fondata su un metodo riconosciuto, affidabile, testabile. Qui, semplicemente, non c’è più nulla da testare”.
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