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Il caso

Siena, cento ricercatori universitari verso l’addio. Di Pietra avverte: “Senza un intervento del governo, li perderemo tutti”.

La crisi Pnrr che svuota atenei e tribunali. Contratti a termine, fondi insufficienti e prospettive nulle: giovani studiosi dell’Università di Siena rischiano il posto entro il 2025

Andrea Bianchi Sugarelli

20 Settembre 2025, 07:15

Università degli studi di Siena

L'Università di Siena

La realtà è cruda: la ricerca universitaria in Italia è diventata un parcheggio temporaneo e sottopagato per giovani brillanti, costretti ad abbandonare le loro ambizioni appena si spegne la luce dei finanziamenti. Siena, con la sua antica Università, non fa eccezione e oggi si trova nel pieno di un’emergenza che rischia di svuotare le aule e i laboratori dei suoi migliori talenti. Le parole del rettore Roberto Di Pietra sono state nette: la situazione è gravissima, e senza un intervento concreto del governo il destino di circa cento ricercatori è già scritto: “Molti ricercatori dell'Università di Siena, entrati con i fondi del Pnrr, stanno vivendo una fase delicata. Circa cento studiosi, con contratto a tempo determinato, dovranno lasciare entro la fine dell'anno o nei primi del 2026. Come Ateneo – ha ribadito il rettore - abbiamo cercato di trovare le risorse per trattenerli attraverso la cosiddetta 'massa critica', ma purtroppo non sono sufficienti per tutti. Al massimo potremmo trattenere per uno o due anni meno di dieci ricercatori. E' vero che quando hanno firmato il contratto sapevano che sarebbe terminato, ma oggi perderli e non poter più contare su di loro è davvero un peccato per la ricerca anche perché non immetterli nel Sistema Paese potrebbe significare vederli partire per l'estero portando altrove i loro saperi che hanno acquisito da noi”. Di Pietra lancia un appello al Ministro dell'università e della ricerca della Repubblica Italiana, Anna Maria Bernini: “Se non ci sarà un intervento del governo possiamo salutarli tutti”.

Storia vecchia

La storia si ripete. Nel 2012, quando partiva la prima “Notte dei Ricercatori”, Siena piangeva la fuga di molti giovani studiosi. Oggi, a distanza di oltre un decennio, il quadro è addirittura peggiorato. Ricercatori entrati grazie ai fondi del Pnrr si trovano con contratti in scadenza e nessuna prospettiva di stabilità. Entro la fine del 2025, almeno un centinaio dovranno lasciare l’ateneo, con la possibilità di trattenere meno di dieci di loro solo per uno o due anni in più. Tutti gli altri verranno di fatto espulsi dal sistema, privando l’università – e il Paese – del frutto di anni di formazione e ricerca. Non si tratta di un’eccezione, ma della regola. Il precariato nella ricerca è ormai endemico: dati nazionali recenti parlano chiaro, con oltre l’86% delle posizioni di post-dottorato destinate a scadere in pochi mesi. Un’intera generazione di studiosi si ritrova, dopo anni di analisi e sacrifici, davanti a un bivio: il rinnovo appeso al lumicino o la valigia in mano verso l’estero. Le conseguenze sono pesanti anche per il benessere psicologico: la maggior parte dei ricercatori vive con l’ansia per il futuro e con stipendi che, a fronte di oltre 46 ore di lavoro settimanali, spesso non arrivano nemmeno a 1.700 euro netti al mese. Senza contare l’assenza di tutele per malattia, straordinari o disoccupazione.

Un problema serio

Il problema investe l’intero sistema universitario, ma a Siena prende un sapore ancora più amaro. L’ateneo, uno dei più antichi e prestigiosi d’Italia, rischia di perdere il suo ruolo di motore culturale e scientifico del territorio. Una débâcle che non riguarda solo la ricerca: anche altri comparti pubblici, come il Tribunale di Siena, si trovano a fare i conti con la perdita di personale giovane, come dimostra la situazione dei 23 professionisti in scadenza di contratto, anche loro legati al Pnrr. Si tratta di una vera e propria emorragia di competenze, che mette in crisi il funzionamento delle istituzioni locali e la loro capacità di offrire servizi di qualità.

Le cause di una crisi

Le cause di questa crisi sono note: finanziamenti frammentari e instabili, eccessiva dipendenza da fondi europei o a termine, scarso ricambio generazionale. Solo una posizione su quattro è finanziata in modo stabile, il resto è appeso ai bandi e ai progetti che spesso durano meno di un anno. Il risultato? Un sistema incapace di valorizzare i suoi ricercatori, che dopo anni di formazione vengono lasciati andare via. Non sorprende che, secondo le ultime rilevazioni, il 74% dei ricercatori si dichiari estremamente preoccupato per il proprio futuro lavorativo, mentre il divario di genere e quello territoriale restano ancora troppo accentuati. Il Governo italiano è impegnato da tempo a risolvere l’emergenza, ma non è affatto facile in questo momento di crisi internazionale. Ma non c’è dubbio che sostenere con decisione la ricerca pubblica e l’università è essenziale per creare un sistema capace di reagire anche davanti alle grandi congiunture. Solo atenei dotati delle risorse necessarie possono diventare un vero motore di sviluppo per la Nazione. La mancanza di prospettive rischia di rendere vana la missione stessa dell’università: formare, innovare, creare sapere. L’Italia, e Siena in particolare, non possono permettersi di perdere questa sfida. Senza una svolta nei finanziamenti, nella stabilizzazione e nella valorizzazione dei giovani studiosi, la ricerca italiana – già oggi in difficoltà – rischia il tracollo. E con lei, i sogni di chi avrebbe dovuto portare il Paese nel futuro.

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