Cronaca
Quando Dino Ramponi, uno dei protagonisti della follia che è costata la vita a tre carabinieri nel Veronese (a Castel d'Azzano) e all'esplosione di un casale, ha varcato per primo il cancello della casa circondariale di Montorio, sembrava smarrito. Poche ore dopo è arrivato anche Franco, il fratello maggiore. Li hanno separati subito, messi in celle diverse dell’area infermeria. Una scelta obbligata: vietato qualsiasi contatto tra i due, per non compromettere le indagini. Eppure, fino a quel momento, erano stati inseparabili. Uniti da una vita fatta di silenzi, di vacche da mungere e di una madre che per entrambi era tutto. La sorella Maria Luisa, oggi tra la vita e la morte in un letto d’ospedale, li aveva tenuti ancorati a un’esistenza lontana da tutto e da tutti. Chi li ha visti entrare racconta di due uomini “trasandati, quasi selvatici”, spaesati in un luogo dove le relazioni umane sono inevitabili. Non erano pronti per il carcere, loro che vivevano solo di notte per evitare ogni contatto col mondo esterno. Bastava uno sguardo per spingerli a cambiare strada. Adesso, costretti a dividere spazi e tempi con altri, devono affrontare una realtà che non hanno mai voluto conoscere.
La loro povertà, raccontano fonti interne, non era solo economica, ma culturale e sociale. Nessuno ha mai capito come riuscissero a sopravvivere: latte, verdure dell’orto, abiti raccattati. Un’esistenza ai margini, vissuta all’aperto, tra ritmi propri e abitudini inviolabili. Ora sono dentro, con altri detenuti che, sorprendentemente, li aiutano. Gli hanno offerto sapone, vestiti puliti, e spiegato le regole non scritte del carcere. Dino, il più fragile, sempre vissuto all’ombra di Franco e della sorella Maria Luisa, è stato il primo ad arrendersi ai carabinieri, quella notte. È stato lui, da bambino, a subire più di tutti le prese in giro a scuola, con quei capelli tagliati alla buona da un padre assente. E ora è sempre lui a dover affrontare un mondo che lo giudica. Ma questa volta, lo farà da solo.
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