Basket
Coach Federico Vecchi
Mentre aspettative e incertezze si mescolano, la prima palla a due ormai è dietro l’angolo. La Note di Siena esordirà in B Interregionale domenica pomeriggio (ore 18) al palasport contro La Spezia, avversario costruito per disputare un campionato di alto livello, target che non dispiace neppure ai colori biancoverdi nonostante la partenza sia tutta in salita, con il pezzo pregiato Perin costretto fuori da un guaio muscolare e pure l’altro colpo di mercato Yarbanga a forte rischio di guardarla e non giocarla, la prima partita che conta della stagione.
“Certo non mi sarebbe dispiaciuto arrivare a questo momento avendo una o due settimane in più di tempo a disposizione per normalizzare la situazione – dice Federico Vecchi, 49enne coach bolognese che la Mens Sana ha scelto per costruire un nuovo ciclo, impostato verso l’ulteriore step di crescita -, però ci faremo trovare pronti. C’è tanta curiosità di mettersi alla prova e di iniziare a misurarsi con un campionato particolare, sotto certi aspetti indefinibile”.
Indefinibile? Perché questo aggettivo?
“La B Interregionale è molto difficile da decifrare. Al piano di sopra, in B Nazionale, il 90% dei giocatori è noto a tutti, a quello di sotto, in serie C, trovi giocatori locali e quindi altrettanto conosciuti, questo in cui militiamo è invece un ibrido: ci sono cestisti che arrivano dalla C, giovani che magari hanno qualità ma che fanno le prime loro vere esperienze e devono imparare a mettersi in gioco, giocatori di categoria superiore che invece scendono dalle serie superiori e devono sapersi adattare al contesto. Insomma, una bella sfida”.
Prima avversaria, La Spezia…
“Squadra forte e con giocatori esperti, anche di categoria superiore. Hanno disputato un ottimo precampionato, sembrano aver trovato già una buona identità”.
Lei è a Siena ormai da diverse settimane, che idea si è fatto dell’ambiente Mens Sana?
“La società è molto ben organizzata, più di quanto mi immaginassi: sono molto contento della squadra che abbiamo allestito, delle scelte condivise, del livello acquisito in queste settimane di preseason, del rapporto che si è andato creando tra società e staff tecnico e tra staff tecnico e giocatori. Le premesse per fare bene ci sono tutte”.
Lo staff tecnico, appunto. È molto allargato rispetto alle ultime annate biancoverdi: come state lavorando?
“L’idea del club di identificare una figura di allenatore full time prevede anche un progetto di lavoro che porti alla nascita e allo sviluppo di uno staff tecnico di valore. Personalmente credo molto nel lavoro di gruppo, è essenziale per fare le cose bene nell’immediato, ma anche per lasciare qualcosa di costruito nel momento in cui uno se ne va: sto imparando a conoscere le persone, l’obiettivo è far crescere le varie figure e arrivare a far sì che la condivisione di regole e responsabilità finisca per creare anche una certa autonomia. Ci stiamo lavorando, è un meccanismo che va oliato ma sono contento di come stanno andando le cose”.
Parliamo un po’ di lei. Parafrasando Luca Carboni, il basket a Bologna è una regola?
“In realtà da ragazzino avrei voluto giocare a calcio, come mio padre. Scelsi il basket dopo che mia mamma aveva invece suggerito di farmi provare uno sport al chiuso: andai in palestra perplesso ma bastò poco per cambiare idea, da allora sempre e solo pallacanestro, prima come giocatore, molto volenteroso ma di limitato talento, poi come allenatore”.
Sotto le Due Torri ci si divide, da sempre, tra Virtus e Fortitudo…
“Ho allenato alla Virtus e a Ozzano al Gira, mai alla Fortitudo, anche se in un determinato periodo si erano forse create le condizioni per farlo. Se mi si vuol portare a dire per chi faccio il tifo, la risposta è: per nessuna delle due. Non è una posizione politica neutrale, è che proprio non sono mai stato tifoso di squadre di club, nel basket come in altri sport. Tifo la nazionale italiana, qualunque sia la disciplina sportiva e tifo i grandi atleti azzurri che ci rappresentano o ci hanno rappresentato: mi viene in mente Jannik Sinner oggi, mentre quando ero ragazzino ero tifosissimo di Alberto Tomba”.
Alla Virtus Bologna come era arrivato?
“Ho iniziato ad allenare a Calderara, dove sono cresciuto, a convincermi a fare il corso era stato il mio primissimo coach del minibasket e come spesso succede nei piccoli paesi mi affidarono subito una squadra, quella Allievi: i primi contatti con la Virtus li ho avuti allora, loro facevano giocare nello stesso girone la formazione Ragazzi e mi hanno notato, chiamandomi l’anno dopo a Bologna a fare l’assistente al gruppo Cadetti-Juniores e a guidare una formazione di età inferiore. Aggiungo che all’ambiente virtussino mi ero approcciato già da qualche tempo anche per questioni familiari, dato che mio fratello militava nelle giovanili bianconere”.
Il basket è un vizio di famiglia in casa Vecchi?
“Mio fratello è dell’86, faceva parte del gruppo che qualche anno dopo arrivò a giocarsi il titolo nazionale Cadetti a Biella. Ero assistente allenatore di quella squadra, nella quale militavano un certo Belinelli e Vitali, che poi passò da Siena: purtroppo perdemmo in finale, proprio contro la Mens Sana”.
Vista da fuori, da avversario, la Mens Sana di allora cosa rappresentava?
“Siena in quel momento era società leader anche in ambito giovanile, contava su una potenza di fuoco importante e allestiva squadre sempre molto competitive. La scuola, i presupposti, erano diversi rispetto alla Virtus, che pure disponeva di un vivaio altrettanto importante: a Bologna il lavoro era improntato sulla tecnica individuale, a Siena un po’ più all’insegnamento del gioco. Sono stati anni di grandi confronti, con giocatori di altissimo livello da una parte e dall’altra, l’evoluzione personale mi porta a dire, oggi, che la giusta sintesi stia nel riuscire a insegnare la tecnica dentro al gioco. Un aspetto che caratterizza la Mens Sana, che mi colpiva allora e che si continua a respirare oggi, è la bravura nel creare in tutti un senso di appartenenza. Chi passa da qui ha il piacere, il gusto di aver fatto un pezzo di strada con e per la Mens Sana”.
Torniamo per un attimo a Bologna, perché è là che ha avuto a che fare a due grandi figure come Consolini e Bucci…
“Giordano è sempre stato un martello e continua ad esserlo anche oggi, in età adulta. Parliamo di un allenatore che ha vinto un’Eurolega da assistente, che è stato capo coach senior, che ha guidato per tanti anni uno dei migliori settori giovanili d’Italia: sia quando l’ho avuto come responsabile, sia quando è rimasto a dare il suo contributo a me che l’avevo sostituito, si è caratterizzato per l’energia incredibile con la quale lavora, devo a lui l’imprinting su come un allenatore debba presentarsi dentro e fuori dal campo. Bucci l’ho conosciuto quando aveva ruoli dirigenziali e non più tecnici, alla Virtus e per qualche mese a Forlì, in un’esperienza certo non bella: ne ho apprezzato le doti comunicative, la capacità innata di saper motivare e coinvolgere chi lavorava con lui, sempre toccando i tasti giusti, ma pure l’essere una persona piacevolissima, divertente. Mi permetto di aggiungere anche Marco Sanguettoli, col quale ho avuto la fortuna di fare esperienza nei miei primissimi anni in panchina: gli ho rubato molto nell’insegnamento dei fondamentali, in particolare le cosiddette destrezze con la palla, l’hesitation, il ball handling, il passaggio e pure l’abilità senza la palla. Mi ha fatto iniziare la carriera col piede giusto”.
Dalle mani di Federico Vecchi è passato Alessandro Pajola. Ci racconta qualcosa sul “capitan futuro” virtussino?
“Nell’estate in cui arrivò a Bologna lo stavo seguendo col gruppo dell’Italia Under 16, del quale ero assistente: aveva molti riflettori addosso e portarlo alla Virtus fu un grande successo, altrettanto grande è stata la soddisfazione di allenarlo seppur per un tempo relativamente breve. Dopo solo un anno è approdato in prima squadra, come era giusto, anche se paradossalmente questo non gli ha permesso di fissare alcune abitudini tecniche che stava sviluppando, penso al tiro e alle iniziative offensive individuali. È sempre stato un leader, i compagni lo seguivano fin da quando era giovanissimo, anche quando ha esordito in Nazionale si è mosso come fosse un veterano. La sua miglior caratteristica? Saper alzare il livello della squadra, far giocare bene tutti i compagni, e poi difensivamente dispone di letture, intelligenza e taglia fisica speciali, che lo rendono un giocatore super”.
Prima di arrivare a Siena, ha lavorato a Ravenna, Cividale e, la scorsa stagione, a Imola subentrando a metà stagione e riuscendo a mantenere la squadra in B Nazionale. Che esperienza è stata?
“Molto formativa, come lo sono tutte le esperienze. Dopo Cividale sentivo la necessità di mettermi alla prova tra i senior e Imola è stata un’opportunità che ho colto e che ritengo molto positiva sul piano del basket, alla guida di un gruppo di giocatori che mi hanno seguito con grande fiducia. Fuori dal campo le cose sono andate in una direzione opposta, con la società in grande difficoltà: un’annata a due velocità, in certi momenti è stato complesso tenere la squadra concentrata sulle vicende del campo, ma alla fine l’obiettivo è stato raggiunto e se non fosse stato per qualche episodio sfortunato avremmo pure fatto i playoff”.
Gli Under aggregati alla Note di Siena stanno trovando spazi e minuti sul parquet: oltre alle contingenze del momento, dipende anche dal suo trascorso di allenatore giovanile?
“Il basket è uno ed è quello, non è una questione di under o di senior. La differenza sta casomai nei tempi, perché con i ragazzi si lavora su una programmazione pluriennale, mentre con una prima squadra il concetto dello sviluppo, che comunque almeno per me rimane presente, fa i conti con il risultato del campo e la legittima aspirazione a vincere, anche da parte del tifoso che ti segue e ti incita. Penso che la bravura di un allenatore stia nel pensare un sistema di gioco che valorizzi le capacità dei giocatori, ma allo stesso tempo sviluppi anche quelle aree di miglioramento nelle quali i giocatori in partenza non eccellono: l’esperienza che mi porto dietro dal settore giovanile può permettermi di provare ad allenare sia la parte dii qualità del gioco, sia l’aumento delle competenze dei giocatori, sono due leve che servono nel tentativo di sviluppare la competitività della squadra”.
Quella di Federico Vecchi sarà una Mens Sana da corsa?
“Non è la pallacanestro di Federico Vecchi, come a volte ho sentito dire, è la pallacanestro che riteniamo adatta alla nostra squadra e alle sue caratteristiche. Abbiamo giocatori dinamici, in qualche caso leggeri e che rendono meglio se giocano in movimento: dobbiamo esprimerci con un basket di ritmo e intensità, vuol dire a volte correre a tutto campo, altre volte giocare a metà campo ma con un movimento di giocatori e di palla che ci dia velocità. È anche un tentativo di creare empatia con il nostro pubblico, una squadra che si esprime con queste caratteristiche credo possa essere apprezzata da chi viene a seguirla”.
Qual è l’obiettivo della stagione biancoverde?
“Essere riconoscibili, avere un’identità: significa senso di appartenenza, energia, non mollare mai, perché la Mens Sana, non ce lo nascondiamo, è un ambiente speciale e va rappresentata nella giusta maniera. Tradotto in risultati, fare il meglio possibile e per fare questo bisogna intanto conquistare i playoff. Per il momento, però, è necessario capire sia il nostro completo potenziale, sia il livello delle altre squadre, credo che almeno una decina di giornate servano per avere un quadro completo e che ci permetta di dire qualcosa in più su quelle che saranno le prospettive”.
Quando non pensa al basket, Federico Vecchi che interessi ha?
“Cerco di essere vicino il più possibile a mia figlia, alla mia compagna, a tutti gli affetti familiari, si ha cura dell’essenzialità quando in questo lavoro si inizia ad allontanarsi da casa. Spero di iniziare a vivere meglio Siena, per il momento non ho avuto praticamente mai tempo di farlo: è una città bellissima, sono bellissimi pure i suoi dintorni, anche solo una passeggiata, in centro o nella natura, qui regala belle sensazioni. E poi la passione del cinema e, ultimamente, mi sto appassionando anche alla musica e ai concerti nonostante non abbia un orecchio, per così dire, musicale: avevo pensato di andare a vedere Elisa il 22 novembre a Casalecchio, poi è uscito il calendario della B Interregionale e ho visto che quel giorno giochiamo a Genova. Sarà per un’altra volta, la Mens Sana ovviamente viene prima di tutto il resto”.
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