Il caso
Il generale Garofano
L’impronta di mano insanguinata sulla scena del crimine di Garlasco? Solo sangue raccolto e diffuso sul pavimento. Parola di Luciano Garofano, generale, biologo ed ex comandante del RIS, oggi consulente di Andrea Sempio. Una traccia, mai finora presa in esame nelle indagini sul delitto di Chiara Poggi, tornata sotto la luce dei riflettori.
Per Garofano l’impronta fu adeguatamente approfondita senza però produrre risultati. «Negli ultimi giorni si è tornati a discutere del reperto 57 e di una presunta impronta insanguinata, riaccendendo polemiche che rischiano di allontanare dalla realtà dei fatti» ha premesso il generale, che con un breve approfondimento postato sui propri profili social, sulla base dei documenti e delle analisi svolte all’epoca, spiega: «Non si può parlare con certezza di DNA femminile, il profilo genetico del reperto 57 era non interpretabile. L’impronta citata non può essere definita tale. Tutti gli accertamenti furono eseguiti, ma i risultati non permisero identificazioni né conclusioni affidabili. La scienza forense ha il compito di accertare, non di alimentare suggestioni».
«Un tampone sterile – ricostruisce Garofano – fu passato su una superficie senza sangue visibile. Si trattava di un prelievo esplorativo, per raccogliere eventuali tracce di DNA. Era una zona importante, a ridosso della scala dove fu gettato il corpo. Furono eseguite le analisi con Combur test (negativo al sangue), sottoposto a estrazione e quantificazione del DNA. Nessuna traccia di DNA maschile fu rilevata, il profilo ottenuto non era interpretabile».
«Non c’erano segnali chiari – aggiunge – nessun profilo parziale, nessuna base su cui fare valutazioni, nessun confronto possibile, nessuna identificazione. DNA femminile? Non è corretto dirlo – sottolinea – nel 2007 le tecnologie non avevano la sensibilità di oggi, quel profilo non consentiva alcuna interpretazione. E se anche fosse stato DNA femminile non si poteva escludere né la vittima né la madre. Tutti i tentativi di ottenere un profilo utile sono falliti perché la traccia era troppo esigua».
«Si è parlato di una traccia insanguinata – ancora Garofano – ma guardando la foto originale è evidente: si tratta di sangue che si è raccolto e diffuso sul pavimento. Sebbene la forma potesse richiamarla, se si fosse trattato di una mano non si sarebbe osservato tutto quel sangue in corrispondenza delle dita, ma l’opposto, perché la fonte erano le ferite al capo. E poi non c’è continuità con le tracce delle dita, che indicano il trasporto della vittima ai piedi delle scale. Già all’epoca, durante le indagini preliminari, se ne parlò su indicazione del medico legale di Stasi, il professor Avato, questo aspetto fu valutato nelle sedi opportune».
«Parlare oggi di errori su questi elementi – conclude – che non hanno mai fornito elementi utili alle indagini, è esercizio speculativo».
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