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Siena

McCurry il genio della fotografia legato strettamente a Siena

La sua filosofia: "Ho migliaia di immagini sfuocate e occasioni mancate, ma dagli errori si impara. Mai demordere"

Marco Decandia

20 Novembre 2025, 06:30

Steve McCurry

Steve McCurry, uno dei più grandi fotografi viventi, continua a intrecciare il suo percorso con l’Italia e, in modo particolare, con Siena. La città del Palio rappresenta per lui non solo un luogo di affetto, ma anche uno dei pilastri del suo riconoscimento internazionale. Nel 2025 l’Università gli ha conferito la laurea magistrale ad honorem in Antropologia e linguaggi dell’immagine, celebrandolo come maestro e narratore delle fragilità umane. Una cerimonia intensa, che ha suggellato un rapporto culturale e umano ormai consolidato.

McCurry, del resto, a Siena è di casa: presenza di spessore del Siena Awards Photo Festival, ne è diventato una figura simbolica. Il suo sguardo, capace di dare voce ai popoli dimenticati e alle vittime invisibili dei conflitti, si sposa perfettamente con lo spirito del festival e con la sensibilità della città. Non a caso, ha più volte dichiarato che considera questo uno dei luoghi che meglio comprendono il valore umano e sociale della fotografia.

Mentre Siena lo celebra, lui continua a condividere la parte più autentica del suo mestiere. Lo ha fatto anche a Firenze, durante l’Explorer Symposium della Fondazione Stefano Ricci, dove ha ricordato che non esiste foto perfetta senza pazienza: "Ho migliaia di foto sfuocate e un sacco di occasioni mancate. Ma dagli errori si impara. Bisogna insistere, restare ottimisti e aspettare che tutto si metta al posto giusto. Solo allora arriva il momento perfetto". Parole che rivelano la sua filosofia: la fotografia come attesa, umiltà, dedizione. Sul palco fiorentino McCurry si è definito ancora una volta un “giramondo”, ripercorrendo il viaggio che dagli studi di cinematografia a Philadelphia lo portò in India e Pakistan, fino a documentare l’invasione sovietica dell’Afghanistan. Da quel percorso nacque, nel 1984, la foto che ha segnato la sua carriera: il ritratto di Sharbat Gula, la Afghan girl, immagine-simbolo capace di raccontare al mondo intero la vulnerabilità dei profughi.

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